mercoledì 24 maggio 2017

Trieste. Rispuntano i libri perduti di Italo Svevo (da Il Piccolo) - Il curioso legame con Arcade


Riappare la biblioteca di Italo Svevo che si
pensava perduta. Sono settanta volumi fra i circa mille che riempivano gli scaffali di Villa Veneziani, la casa dello scrittore finita in briciole sotto i bombardamenti alleati nel febbraio del 1945, una parte piccola ma importantissima.  I libri diventeranno il perno di una mostra

La firma appare sulle pagine dei frontespizi, in piccolo, di solito in alto a destra, quasi schiva. Un nome solo, “Ettore”, in inchiostro blu, con grafia appena incerta. A volte è solo una “E.”. Dentro, nei volumi, fra le pagine, qua e là una sottolineatura, un segno indicativo, sempre in inchiostro blu. Compare anche una manina con il dito puntato, come quelle dei timbri d’urgenza che si usavano un tempo, disegnata a penna per evidenziare una frase, un concetto. Per esempio nel volume di Kierkegaard “Aut-aut”, in un’edizione in lingua originale stampata in gotico (1909), è sottolineata questa frase: «Non bisogna essere enigmatici solo per gli altri, ma anche per se stessi. Io studio me stesso; quando ne sono stanco, come diversivo mi metto a fumare un sigaro». E poi quest’altra: «Mi manca insomma la pazienza di vivere».
L’Ettore che postilla questi libri non è altri che Ettore Schmitz, alias Italo Svevo, e i volumi di cui si parla sono quelli della sua biblioteca. Una biblioteca che si riteneva perduta e che invece è stata trovata, anzi ritrovata, da Simone Volpato, docente (precario) di Storia del libro e dell’editoria all’Università di Trieste, editore e bibliofilo. Sono settanta volumi fra i circa mille che riempivano gli scaffali di Villa Veneziani, la casa di Svevo finita in briciole sotto i bombardamenti alleati nel febbraio del 1945, una parte piccola ma importantissima della biblioteca sveviana che adesso obbligherà studiosi e filologi a rifare un po’ i conti con l’autore di “Senilità” e della “Coscienza di Zeno”, romanzi che hanno cambiato la letteratura moderna.
Nel fondo ritrovato ci sono opere di Alfieri, Rilke, Pascoli, Croce, classici ma anche letture più amene come “Brustolini e mandorle” (1897) e “Fargnòcole” (1899) di Giulio Piazza, le “Ballate” di Cesare Rossi (1897) i versi in vernacolo “El scovazon” (1909). E poi le glorie triestine come Stuparich (“Cose e ombre di uno”, con dedica), Fauro, Wostry, Tamaro, Tribel e altri. È insomma il laboratorio di Italo Svevo, se non tutto intero almeno una sua parte significativa, quella che l’amatissimo genero Antonio Fonda Savio mise in salvo in accordo con la moglie dello scrittore Livia e la figlia Letizia nel 1943, quando la famiglia, proprio temendo i bombardamenti vista la vicinanza di Villa Veneziani con i cantieri, fuggì ad Arcade, in provincia di Treviso, nella villetta della famiglia Fonda Savio. Scappando, Livia portò con sé lettere, inediti, libri e traduzioni di Svevo, ora conservati nel Museo Sveviano, oltre a quadri e oggetti appartenuti allo scrittore. E altri volumi della biblioteca privata di Ettore Schmitz, scelti fra quelli ritenuti più importanti. Ma la guerra non risparmiò nemmeno Arcade, e quando i tedeschi requisirono la villetta i libri finirono chiusi in alcune casse e nascosti nelle stalle e nei granai di famiglie amiche, e di semplici contadini, «che ce le salvarono», come avrebbe raccontato in seguito lo stesso Antonio Fonda Savio.
Dunque, i libri di Svevo scampati alle bombe e ai nazisti erano confluiti nelle collezioni librarie di Fonda Savio, e lì sono rimasti. E quando nel 1965 fu allestita a Trieste una mostra intitolata “Italo Svevo” all’Istituto germanico di Cultura, curata dallo stesso Fonda Savio con oggetti e libri appartenuti al suocero, pochi fecero caso a quei volumi esposti.
In seguito, tra il 1991 e il 1994, la biblioteca di Antonio Fonda Savio, 3500 fra libri e opuscoli, venne donata dalla moglie Letizia al Dipartimento di italianistica dell’Università di Trieste. Nel 1997 venne poi inaugurato il Museo Sveviano, dove confluirono quarantuno libri appartenuti a Svevo ma non quelli custoditi all’ateneo, dove lo storico Elio Apih aveva avviato una prima risistemazione del materiale bibliografico e una verifica degli schedari già preparati da Antonio, da Letizia e alcuni loro collaboratori. Paolo Sessa riprese in seguito il lavoro interrotto da Apih per motivi di salute, ma solo recentemente Simone Volpato ha ricevuto l’incarico, grazie a un borsa di studio, di riordinare in modo definitivo la biblioteca che era stata di Antonio Fonda Savio. E Volpato non ci ha messo molto a scoprire - confortato da successive perizie calligrafiche del perito del Tribunale Rosalba Trevisani Bartalotta - che tra tomi antichi e di pregio, foto, quadri, stampe di varia epoca e provenienza (tra cui un eccezionale album con foto e dipinti di Veruda) si annidavano, dimenticati, anche libri che portavano un illustre nome di appartenenza: “Ettore”. «In un certo senso me l’aspettavo - dice Volpato - perché l’esperienza mi ha insegnato che ridurre una biblioteca strutturata a un solo individuo è perlomeno azzardato: avrei sicuramente trovato volumi appartenuti ad altri componenti della famiglia Veneziani». E così è stato, solo che tra questi c’era anche Ettore Schmitz.
Ora il Dipartimento di Storia e culture dall’antichità al mondo contemporaneo (Discam), erede del Dipartiento di italianistica, ha allestito un mostra del lascito Fonda Savio alla Biblioteca statale (inaugurazione il 7 ottobre) dove, oltre a fotografie, quadri, antichi volumi e stampe verranno esposti anche alcuni libri appartenuti a Svevo. «È un fondo importantissimo - dice Elvio Guagnini, curatore della mostra - perché non solo ci permette di arricchire le fonti filosofiche e letterarie dell’opera di Svevo, ma ci consente di avere sottomano parte dell’orizzonte dello Svevo lettore, e di datarlo, visto che in alcuni volumi è segnata anche la data di possesso». «E ciò che più immediatamente sorprende - aggiunge Guagnini - è la varietà dei titoli e delle opere presenti in questa raccolta».
«Per esempio - interviene il responsabile del Museo Sveviano, Riccardo Cepach - credo che nessun ciritico abbia mai citato Kierkegaard tra le fonti sveviane, eppure le sottolineature nel volume “Aut -aut” testimoniano che Svevo l’aveva letto con molta attenzione e ne era stato senza dubbio influenzato». Già a suo tempo Cepach si era messo sulle tracce della perduta biblioteca sveviana, non solo partendo dalla raccolta conservata al Museo, ma tentando con metodi da polizia scientifica di risalire per quanto possibile ai titoli sugli scaffali di Villa Veneziani. A partire da una sola fotografia di Svevo davanti alla sua libreria, con procedimenti di ingrandimento e scansione dei colori era per esempio riuscito a scoprire la presenza de “La grande Encyclopédie Larousse”, rintracciando nella “Coscienza di Zeno” precisi riferimenti all’opera. Ma la biblioteca
ritrovata apre ora tutta una serie di nuove prospettive di studio. E nella ricorrenza dei 150 anni dalla nascita dello scrittore questi libri consentono di approdare a nuove interpretazioni e letture dell’inesauribile mondo letterario di Italo Svevo.

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