mercoledì 30 gennaio 2013

L'anima di un popolo

L'anima di un popolo   versione testuale
Il nuovo libro di Sante Rossetto: "Il Cagnan. Satira, società e costume a Treviso"
Un’altra pagina di storia felicemente riproposta da Sante Rossetto attento lettore ed intelligente interprete della realtà veneta. Della Marca, soprattutto. Un altro spaccato di pura trevigianità. Autentica. Schietta. Perché la satira è autenticità e schiettezza. Ne “Il Cagnan. Satira, società e costume a Treviso” (Cierre edizioni, Verona, Novembre 2009, 12 euro), c’è tutta l’anima di un popolo nella prima metà del Novecento, ma anche, come nota lo stesso Rossetto, “un panorama universale”, “valido a Treviso come in qualsiasi altra parte del mondo”.
 
Quel foglio rosa, ironico e beffardo, vivace e frizzante, caustico e scanzonato, bastian contrario e pungente, mordace per elezione, mai offensivo, che “definire satirico è limitare nella sua importanza”, con l’immediatezza e la chiarezza giornalistica che già il suo fondatore - Adolfo Pesenti - e chi a lungo l’ha diretto - Remigio Forcolin - gli hanno infuso, attraversa tutto il Novecento trevigiano. Una finestra aperta sulla città. Uno dei “monumenti” che ne raccontano la storia.
Periodo difficile quello che vede la nascita de “Il Cagnan”. Anche Treviso, scenario privilegiato della Grande guerra, vive nella precarietà di un difficile dopoguerra alla ricerca di una definitiva stabilità. Nella Marca, come in tutta Italia, comincia a spirare il vento fascista e il panorama politico è animato da forti fermenti che giungono da socialisti, clerico-moderati, popolari, socialdemocratici, repubblicani. Ognuno con una propria strategia. Ognuno con una propria ricetta attorno al capezzale di un’Italia malata. Fragile e affamata. Disorientata. Stordita dalla tragedia bellica appena finita.
In così tanto bailamme di un dibattito politico talvolta dai toni aspri e decisi, anche “Il Cagnan” si schiera. A modo suo. Come “organo ufficioso degli intellettuali”, interpreta il ruolo di chi vuol ragionare con con la propria testa. Senza mezzi termini e ambiguità, i suoi redattori tengono a precisare che preferiscono la chiarezza, che sono “per il comunismo o meglio per il collettivismo della intelligenza”, che vogliono “che gli uomini sieno o tutti intelligenti o tutti cretini in modo che nessuno possa speculare sul suo prossimo”.
Una filosofia deliberatamente adottata. Più redditizia dei mille comizi che infiammano la piazza. Tutta imperniata sulla volontà di “prendere la vita con ironia e allegria. Quella degli altri e la propria”. Una scelta che garantisce un successo inaspettato, anche da altri periodici contemporanei e concorrenti.
“Il Cagnan è diverso per acume e originalità. E’ agile e leggero. Disinvolto. Ardito. Talvolta spavaldo. Si direbbe educatamente sfrontato”, così lo presenta Rossetto.
Le tante “rubriche” che di anno in anno arricchiscono il giornale sono veri capolavori di genialità, come del resto le tante vignette che corredano gli articoli. Vere pillole di storia, indispensabili per rileggere Treviso nei suoi pregi e nei suoi difetti, nel suo lento risollevarsi dalla precarietà del primo dopoguerra, sino a diventare capitale di una Marca sempre più gioiosa, in un alternarsi di vicende belle e di altre meno, proposte dal grande gioco della storia
I personaggi animano il giornale, felici invenzioni di redattori di vero talento, conferiscono a quel foglio distribuito il sabato sera, fresco della stampa delle officine grafiche di Vianello, quel sapore genuino del pane appena sfornato.
Creature che sono la voce del popolo, come Rosina che incarna con il piglio e il parlare senza peli sulla lingua quel mondo reale di chi “da mane a sera”, per tutto l’anno, deve arrabattarsi tra mille difficoltà per sbarcare il lunario nell’amara constatazione che anche “cola democrazia in pieno viluppo: chi è mona resta mona e chi camina sono quelli che dimostrano di avere nela succa del sale e non solla semolla!”, ma anche nella speranza che qualcosa cambi perché “se va avanti cossì andiamo a remengo con tole e cavaletti!”.
 
Ma chi non ride... muore in castigo
O come Policarpo attraverso i cui occhi il lettore scopre aspetti nascosti e biasimevoli, denuncia vizi e vezzi, legge con il filtro di un’ironia sempre raffinata la quotidianità. Non c’è scampo per nessuno, soprattutto per eruditi o presunti tali, notabili e politici, intellettuali e parrucconi, laici e religiosi, per i tanti perditempo e “ciacoloni”, per benpensanti e bigotti, trasformisti e voltagabbana, umili e vanitosi, sempre con l’obiettivo di una tanto salutare quanto sarcastica risata come sollecita l’allegra traduzione del motto “castigat ridendo mores” con “Chi non ride muore in castigo”.
Ma, quando è il caso, “Il Cagnan” sa intenerirsi e intenerire, commuoversi e commuovere, sollecitare a sentimenti d’amor patrio le generazioni future, come ad esempio nel decennale della battaglia del Montello.
Sa leggere la preoccupazione della povera gente nel tormentato secondo dopoguerra, dei trentamila disoccupati della Marca, del migliaio e passa di minatori emigrati in Belgio. Ha la forza per denunciare il contrabbando di generi di prima necessità e il cinismo di chi lucra sulla miseria dei poveri. Sa far suo lo sfogo di che pensa che “par essar sempre sta onesto, go tribolà e tirà la careta mentre i altri i se la spassa” o la disillusa conclusione di Pantalon che credeva che con la caduta del fascismo e l’arrivo della cosiddetta libertà tutto sarebbe cambiato, ma che invece i parlamentari “i se perde in pancianae inveçe de tendarghe a le robe serie e concludar qualcossa de bon” e guardano soltanto al loro tornaconto perché “quando che i xe arivai a sentarse su quela caregheta ognun varda de far i so afari e che el resto vada a remengo”. Valutazione rinforzata dalla Rosina che non salva nessun partito: “I monarchici sono quelli che «possono spendere», i repubblicani «ci hanno la disgrazia di essere dei disperati che alle volte per fare franco ci mancano 99 centesimi», i democristiani per loro basta quartese e andare alla messa ultima per vedere la moda”.
Oggi “Il Cagnan” non c’è più. La sua storia editoriale tra sospensioni ed improvvise rinascite si ferma nel 1994.
Di quel foglio resta soltanto il suo spirito libero e indipendente. Senza riguardo per nessuno.
Restano quelle pagine di storia che altri non hanno mai raccontato. Non avevano la forza o il coraggio o più semplicemente l’intelligente onestà per farlo.
 
 







Giovedi 11 Febbraio 2010
Mario Cutuli in 'La Vita del Popoloì

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