Il nuovo libro di Sante Rossetto: "Il Cagnan. Satira, società e costume a Treviso"
Un’altra pagina di storia felicemente riproposta
da Sante Rossetto attento lettore ed intelligente interprete della
realtà veneta. Della Marca, soprattutto. Un altro spaccato di pura
trevigianità. Autentica. Schietta. Perché la satira è autenticità e
schiettezza. Ne “Il Cagnan. Satira, società e costume a Treviso” (Cierre
edizioni, Verona, Novembre 2009, 12 euro), c’è tutta l’anima di un
popolo nella prima metà del Novecento, ma anche, come nota lo stesso
Rossetto, “un panorama universale”, “valido a Treviso come in qualsiasi
altra parte del mondo”.
Quel foglio rosa, ironico e
beffardo, vivace e frizzante, caustico e scanzonato, bastian contrario e
pungente, mordace per elezione, mai offensivo, che “definire satirico è
limitare nella sua importanza”, con l’immediatezza e la chiarezza
giornalistica che già il suo fondatore - Adolfo Pesenti - e chi a lungo
l’ha diretto - Remigio Forcolin - gli hanno infuso, attraversa tutto il
Novecento trevigiano. Una finestra aperta sulla città. Uno dei
“monumenti” che ne raccontano la storia.
Periodo difficile
quello che vede la nascita de “Il Cagnan”. Anche Treviso, scenario
privilegiato della Grande guerra, vive nella precarietà di un difficile
dopoguerra alla ricerca di una definitiva stabilità. Nella Marca, come
in tutta Italia, comincia a spirare il vento fascista e il panorama
politico è animato da forti fermenti che giungono da socialisti,
clerico-moderati, popolari, socialdemocratici, repubblicani. Ognuno con
una propria strategia. Ognuno con una propria ricetta attorno al
capezzale di un’Italia malata. Fragile e affamata. Disorientata.
Stordita dalla tragedia bellica appena finita.
In così tanto
bailamme di un dibattito politico talvolta dai toni aspri e decisi,
anche “Il Cagnan” si schiera. A modo suo. Come “organo ufficioso degli
intellettuali”, interpreta il ruolo di chi vuol ragionare con con la
propria testa. Senza mezzi termini e ambiguità, i suoi redattori tengono
a precisare che preferiscono la chiarezza, che sono “per il comunismo o
meglio per il collettivismo della intelligenza”, che vogliono “che gli
uomini sieno o tutti intelligenti o tutti cretini in modo che nessuno
possa speculare sul suo prossimo”.
Una filosofia
deliberatamente adottata. Più redditizia dei mille comizi che infiammano
la piazza. Tutta imperniata sulla volontà di “prendere la vita con
ironia e allegria. Quella degli altri e la propria”. Una scelta che
garantisce un successo inaspettato, anche da altri periodici
contemporanei e concorrenti.
“Il Cagnan è diverso per acume e
originalità. E’ agile e leggero. Disinvolto. Ardito. Talvolta spavaldo.
Si direbbe educatamente sfrontato”, così lo presenta Rossetto.
Le
tante “rubriche” che di anno in anno arricchiscono il giornale sono
veri capolavori di genialità, come del resto le tante vignette che
corredano gli articoli. Vere pillole di storia, indispensabili per
rileggere Treviso nei suoi pregi e nei suoi difetti, nel suo lento
risollevarsi dalla precarietà del primo dopoguerra, sino a diventare
capitale di una Marca sempre più gioiosa, in un alternarsi di vicende
belle e di altre meno, proposte dal grande gioco della storia
I
personaggi animano il giornale, felici invenzioni di redattori di vero
talento, conferiscono a quel foglio distribuito il sabato sera, fresco
della stampa delle officine grafiche di Vianello, quel sapore genuino
del pane appena sfornato.
Creature che sono la voce del
popolo, come Rosina che incarna con il piglio e il parlare senza peli
sulla lingua quel mondo reale di chi “da mane a sera”, per tutto l’anno,
deve arrabattarsi tra mille difficoltà per sbarcare il lunario
nell’amara constatazione che anche “cola democrazia in pieno viluppo:
chi è mona resta mona e chi camina sono quelli che dimostrano di avere
nela succa del sale e non solla semolla!”, ma anche nella speranza che
qualcosa cambi perché “se va avanti cossì andiamo a remengo con tole e
cavaletti!”.
Ma chi non ride... muore in castigo
O
come Policarpo attraverso i cui occhi il lettore scopre aspetti
nascosti e biasimevoli, denuncia vizi e vezzi, legge con il filtro di
un’ironia sempre raffinata la quotidianità. Non c’è scampo per nessuno,
soprattutto per eruditi o presunti tali, notabili e politici,
intellettuali e parrucconi, laici e religiosi, per i tanti perditempo e
“ciacoloni”, per benpensanti e bigotti, trasformisti e voltagabbana,
umili e vanitosi, sempre con l’obiettivo di una tanto salutare quanto
sarcastica risata come sollecita l’allegra traduzione del motto
“castigat ridendo mores” con “Chi non ride muore in castigo”.
Ma,
quando è il caso, “Il Cagnan” sa intenerirsi e intenerire, commuoversi e
commuovere, sollecitare a sentimenti d’amor patrio le generazioni
future, come ad esempio nel decennale della battaglia del Montello.
Sa
leggere la preoccupazione della povera gente nel tormentato secondo
dopoguerra, dei trentamila disoccupati della Marca, del migliaio e passa
di minatori emigrati in Belgio. Ha la forza per denunciare il
contrabbando di generi di prima necessità e il cinismo di chi lucra
sulla miseria dei poveri. Sa far suo lo sfogo di che pensa che “par
essar sempre sta onesto, go tribolà e tirà la careta mentre i altri i se
la spassa” o la disillusa conclusione di Pantalon che credeva che con
la caduta del fascismo e l’arrivo della cosiddetta libertà tutto sarebbe
cambiato, ma che invece i parlamentari “i se perde in pancianae inveçe
de tendarghe a le robe serie e concludar qualcossa de bon” e guardano
soltanto al loro tornaconto perché “quando che i xe arivai a sentarse su
quela caregheta ognun varda de far i so afari e che el resto vada a
remengo”. Valutazione rinforzata dalla Rosina che non salva nessun
partito: “I monarchici sono quelli che «possono spendere», i
repubblicani «ci hanno la disgrazia di essere dei disperati che alle
volte per fare franco ci mancano 99 centesimi», i democristiani per loro
basta quartese e andare alla messa ultima per vedere la moda”.
Oggi “Il Cagnan” non c’è più. La sua storia editoriale tra sospensioni ed improvvise rinascite si ferma nel 1994.
Di quel foglio resta soltanto il suo spirito libero e indipendente. Senza riguardo per nessuno.
Restano
quelle pagine di storia che altri non hanno mai raccontato. Non avevano
la forza o il coraggio o più semplicemente l’intelligente onestà per
farlo.
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Giovedi 11 Febbraio 2010
Mario Cutuli in 'La Vita del Popoloì
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